I gradi della mobilità autoalimentata
Un
secolo fa venne inventato il cuscinetto a sfere. Grazie a esso, il coefficiente
d'attrito si riduceva a un millesimo. Applicando un cuscinetto a sfere ben
calibrato tra due pietre da macina dell'età neolitica, un uomo poteva macinare
in un giorno quanto ai suoi antenati richiedeva una settimana di lavoro. Il
cuscinetto a sfere rese anche possibile la bicicletta, facendo sì che la ruota
- forse l'ultima delle grandi invenzioni del Neolitico - fosse finalmente
utilizzabile per la mobilità autoalimentata.
L'uomo,
senza l'aiuto di alcuno strumento, è capace di spostarsi con piena efficienza.
Per trasportare un grammo del proprio peso per un chilometro in dieci minuti,
consuma 0,75 calorie. L'uomo a piedi è una macchina termodinamica più
efficiente di qualunque veicolo a motore e della maggioranza degli animali; in
rapporto al suo peso, nella locomozione presta più lavoro del topo o del bue,
meno lavoro del cavallo o dello storione. Con questo tasso di efficienza l'uomo
si è insediato nel mondo e ne ha fatto la storia. Procedendo di questo passo le
società contadine e quelle nomadi spendono rispettivamente meno del 5 e dell'8
per cento del loro tempo sociale fuori di casa o dell'accampamento.
L'uomo
in bicicletta può andare tre o quattro volte più svelto del pedone, consumando
però un quinto dell'energia: per portare un grammo del proprio peso per un
chilometro di strada piana brucia soltanto 0,15 calorie. La bicicletta è il
perfetto traduttore per accordare l'energia metabolica dell'uomo all'impedenza
della locomozione. Munito di questo strumento, l'uomo supera in efficienza non
solo qualunque macchina, ma anche tutti gli altri animali. Le invenzioni del
cuscinetto a sfere, della ruota a raggi tangenti e del pneumatico, messe
assieme, si possono paragonare solo a tre altri eventi della storia del
trasporto. L'invenzione della ruota, all'alba della civiltà, tolse i pesi dalle
spalle dell'uomo e li depose sulla carriola. L'invenzione, e la contemporanea
applicazione, durante il Medioevo europeo, della staffa, della bardatura e del
ferro di cavallo aumentò sino a cinque volte l'efficienza termodinamica del
cavallo e rivoluzionò l'economia dell'Europa medievale: rese possibili arature
frequenti, e quindi la rotazione delle colture agricole; mise a portata di mano
del contadino campi più lontani, permettendo così ai proprietari di
trasferirsi dai casali di sei famiglie ai villaggi di cento, dove potevano
vivere intorno alla chiesa, alla piazza, alla prigione e, più tardi, alla
scuola; favorì la coltivazione delle terre settentrionali, spostando il centro
del potere nei paesi a clima freddo. La costruzione, a opera dei portoghesi del
Quattrocento, delle prime navi alturiere, sotto l'egida del nascente capitalismo
europeo, gettò le solide basi di una cultura e di un mercato estesi a tutto il
globo.
L'invenzione
del cuscinetto a sfere avviò una quarta rivoluzione. Questa differiva sia dalla
rivoluzione, sostenuta dalla staffa, che aveva messo il cavaliere in groppa
al proprio cavallo, sia da quella, sostenuta dal galeone, che aveva ampliato
l'orizzonte dei marinai del re. Il cuscinetto a sfere aprì una vera crisi,
un'autentica scelta politica: creò la possibilità di optare tra una maggiore
libertà nell'equità e una maggiore velocità. Esso è infatti un ingrediente
parimenti fondamentale di due nuovi tipi di locomozione, rispettivamente
simboleggiati dalla bicicletta e dall'automobile. La bicicletta elevò l'automobilità
dell'uomo a un nuovo ordine, oltre il quale è teoricamente impossibile
progredire; al contrario, la capsula individuale di accelerazione fece sì che
le società si dedicassero a un rituale di velocità progressivamente paralizzante.
L'impiego
esclusivamente rituale di un congegno potenzialmente dotato di utilità non è
certo un fatto nuovo. Migliaia di anni fa la ruota liberò dal suo fardello lo
schiavo portatore, ma solo sul continente euroasiatico; in Messico la ruota si
conosceva, ma non veniva mai adibita al trasporto: serviva esclusivamente alla
costruzione di carrozze per delle divinità-giocattolo. Il tabù per le carriole
vigente nell'America anteriore a Cortés non è più strano del tabù per le
biciclette nel traffico d'oggi.
Non
è affatto inevitabile che l'invenzione del cuscinetto a sfere continui a
servire per accrescere il consumo energetico, e quindi a produrre penuria di
tempo, distruzione di spazio e privilegio di classe. Se il nuovo ordine della
mobilità autoalimentata reso accessibile dalla bicicletta venisse protetto
dalla svalutazione, dalla paralisi e dai rischi per gli arti del ciclista,
sarebbe possibile assicurare a tutti una pari mobilità ottimale e metter fine
all'imposizione del massimo di privilegio e di sfruttamento. Sarebbe anche
possibile controllare le strutture dell'urbanizzazione una volta che
l'organizzazione dello spazio avesse come limite il potere che ha l'uomo di
spostarsi in esso.
Le
biciclette non sono soltanto termodinamicamente efficienti, costano anche
poco. Avendo un salario assai inferiore, il cinese per comprarsi un bicicletta
che gli durerà a lungo spende una frazione delle ore di lavoro che un
americano dedica all'acquisto di un'auto destinata a invecchiare rapidamente. Il
rapporto tra il costo dei servizi pubblici richiesti dal traffico ciclistico e
il prezzo di un’infrastruttura adatta alle alte velocità, è
proporzionalmente ancora minore della differenza di prezzo tra i veicoli usati
nei due sistemi. Nel sistema basato sulla bicicletta, occorrono strade
apposite solo in certi punti di traffico denso, e le persone che vivono lontano
dalle superfici in piano non sono per questo automaticamente isolate come lo
sarebbero se dipendessero dagli automezzi o dai treni. La bicicletta ha ampliato
il raggio d'azione dell'uomo senza smistarlo su strade non percorribili a piedi.
Dove egli non può inforcare la sua bici, può di solito spingerla.
Inoltre
la bicicletta richiede poco spazio. Se ne possono parcheggiare diciotto al
posto di un'auto, se ne possono spostare trenta nello spazio divorato da
un'unica vettura. Per portare 40.000 persone al di là di un ponte in un'ora, ci
vogliono tre corsie di una determinata larghezza se si usano treni
automatizzati, quattro se ci si serve di autobus, dodici se si ricorre alle
automobili, e solo due corsie se le 40.000 persone vanno da un capo all'altro
pedalando in bicicletta. Di tutti questi veicoli, soltanto la bicicletta
permette realmente alla gente di andare da porta a porta senza camminare. Il
ciclista può raggiungere nuove destinazioni di propria scelta senza che il suo
strumento crei nuovi posti a lui preclusi.
Le
biciclette permettono di spostarsi più velocemente senza assorbire quantità
significative di spazio, energia o tempo scarseggianti. Si può impiegare meno
tempo a chilometro e tuttavia percorrere più chilometri ogni anno. Si possono
godere i vantaggi delle conquiste tecnologiche senza porre indebite ipoteche
sopra gli orari, l'energia e lo spazio altrui. Si diventa padroni dei propri
movimenti senza impedire quelli dei propri simili. Si tratta d'uno strumento
che crea soltanto domande che è in grado di soddisfare. Ogni incremento di
velocità dei veicoli a motore determina nuove esigenze di spazio e di tempo:
l'uso della bicicletta ha invece in sé i propri limiti. Essa permette alla
gente di creare un nuovo rapporto tra il proprio spazio e il proprio tempo, tra
il proprio territorio e le pulsazioni del proprio essere, senza distruggere
l'equilibrio ereditario. I vantaggi del traffico moderno autoalimentato sono
evidenti, e tuttavia vengono ignorati. Che il traffico migliore sia quello più
veloce lo si afferma, ma non lo si è mai dimostrato. Prima di chiedere alla
gente di pagare, i fautori dell'accelerazione dovrebbero cercare di esibire le
prove a sostegno di quanto pretendono.
Sta
ormai per concludersi un orrendo combattimento tra biciclette e motori. Nel
Vietnam un esercito superindustrializzato ha cercato di domare, senza riuscire
a batterlo, un popolo che si muoveva alla velocità della bicicletta. La lezione
dovrebbe esser chiara. Gli eserciti ad alto contenuto di energia possono
annientare popolazioni - sia quelle che difendono sia quelle contro cui vengono
scatenati - ma non servono granché a un popolo che difende se stesso. Resta
da vedere se i vietnamiti applicheranno all'economia di pace ciò che hanno
imparato in guerra, se vorranno proteggere quei valori che hanno reso possibile
la loro vittoria. E’ ahimè probabile che, in nome ,del progresso e di un
maggiore impiego di energia, i vincitori finiscano per sconfiggere se stessi
distruggendo quella struttura equa, razionale e autonoma cui i bombardieri
americani li avevano costretti privandoli di combustibili, di motori e di
strade.
Motori dominanti e motori ausiliari
Gli
uomini nascono dotati di una mobilità pressappoco uguale. Questa capacità
naturale di spostarsi parla a favore di un'uguale libertà per ognuno di
andare dovunque voglia. I cittadini di una società fondata sul concetto di
equità chiederanno che questo diritto venga tutelato contro qualunque
restrizione. Per loro non dovrebbe fare alcuna differenza il mezzo con cui
venga impedito l'esercizio della mobilità personale: sia tale mezzo
l'incarcerazione, il vincolo a una terra, la revoca di un passaporto, oppure
la relegazione in un ambiente che usurpa l'innata capacità di muoversi
dell'individuo allo scopo di farne un consumat6re di trasporto. Questo diritto
inalienabile alla libertà di movimento non decade sol perché la maggioranza
dei nostri contemporanei si è lasciata immobilizzare da cinture di sicurezza
ideologiche. La naturale capacità umana di transito è anche l'unico metro per
misurare il contributo che il trasporto può dare al traffico: si ha solo
tanto trasporto quanto è compatibile col transito. Resta da evidenziare come
possiamo distinguere quelle forme di trasporto che menomano la capacità di
muoversi da quelle che la potenziano.
Il
trasporto può ridurre la circolazione in tre modi: spezzandone il flusso,
creando gruppi di destinazioni isolati, e aumentando la perdita di tempo
connessa al traffico. Abbiamo già visto che il fattore chiave nella relazione
fra trasporto e traffico è la velocità dei veicoli. Abbiamo anche visto
come, oltrepassata una certa soglia di velocità, il trasporto arriva a ostruire
il traffico nei tre modi che si è detto: blocca la mobilità saturando
l’ambiente di veicoli e di strade; trasforma il territorio in una piramide di
circuiti reciprocamente inaccessibili, secondo i livelli di accelerazione;
espropria il tempo in nome della velocità.
Se
al di là di una certa soglia il trasporto ostruisce il traffico, è vero anche
il contrario: al di sotto d'un certo livello di velocità, i veicoli a motore
possono integrare o migliorare il traffico permettendo di fare cose che non
sarebbero possibili a piedi o in bicicletta. Un sistema di trasporto ben
organizzato, con velocità di punta non superiori a 40 chilometri orari,
avrebbe permesso a Fix di correre dietro a Phileas Fogg intorno al mondo in meno
della metà di ottanta giorni. Gli automezzi possono servire a trasportare i
malati, gli zoppi, i vecchi e anche' i semplici pigri. Le teleferiche possono
portare gente da una parte all'altra delle colline, senza
inconvenienti purché non scaccino lo scalatore dalla sua pista. I treni possono
ampliare l'ambito dei viaggi, senza ingiustizie purché ognuno abbia non
soltanto una eguale possibilità di trasporto ma un eguale tempo libero per
avvicinare altri. Il tempo del viaggio deve essere, per quanto possibile, quello
del viaggiatore: un sistema di trasporto ottimale per il traffico si può
realizzare solo nella misura in cui il trasporto motorizzato sia vincolato a
delle velocità che lo facciano restare ausiliario rispetto al transito
autonomo.
Porre
un limite alla potenza e quindi alla velocità dei motori non basta di per sé a
tutelare i più deboli dallo sfruttamento dei ricchi e dei potenti, i quali
possono trovare la maniera per vivere e lavorare in posti meglio situati,
viaggiare con un seguito su carrozze di lusso, riservare corsie speciali ai
medici e ai membri del comitato centrale. Ma in un regime di velocità massima
sufficientemente limitata, questo tipo d'ingiustizia si può contenere o
persino eliminare con mezzi politici: mediante un controllo popolare sulle
tasse, le strade, i veicoli e. la loro regolamentazione all'interno della
comunità. In un regime che non ponga limiti alla velocità massima non c'è proprietà
pubblica dei mezzi di trasporto né perfezionamento tecnico del loro controllo
che basti a eliminare un crescente e disuguale sfruttamento. L'industria del
trasporto è essenziale alla produzione ottimale di traffico, ma purché non
eserciti il proprio monopolio radicale su quella mobilità personale che è,
intrinsecamente e principalmente, un valore che si crea nell'uso.
Sottoattrezzatura, sovrasviluppo e tecnologia matura
Quelle
combinazione di trasporto e transito che costituisce il traffico ci ha fornito
un esempio di potenza pro capite socialmente ottimale, e della necessità di
sottoporre tale potenza a limiti stabiliti per via politica. Ma il traffico sì
può anche considerare come uno dei vari modelli della convergenza degli
obiettivi di sviluppo su scala mondiale, e come un criterio per distinguere i
paesi minoratamente sottoattrezzati da quelli distruttivamente sovraindustrializzati.
Un
paese si può definire sottoattrezzato quando non è in grado di dotare ogni
cittadino d'una bicicletta o di fornire come supplemento un cambio a cinque
velocità a chi voglia trasportare gente pedalando. E’ sottoattrezzato se non
può offrire buone strade ciclabili oppure un servizio pubblico gratuito di
trasporto motorizzato (ma alla velocità delle biciclette!) per chi intende
viaggiare per più' di poche ore consecutive. Non esiste alcuna ragione tecnica,
economica o ecologica perché in qualsiasi luogo si debba oggi tollerare una
simile arretratezza. Sarebbe scandaloso se la mobilità naturale di un popolo
fosse costretta suo malgrado a stagnare a un livello pre-bicicletta.
Un
paese si può considerare sovraindustrializzato quando la sua vita sociale è
dominata dall'industria del trasporto, che determina i privilegi di classe,
accentua la penuria di tempo e lega sempre più strettamente la popolazione ai
binari ch'essa le traccia.
AI
di là della sottoattrezzatura e della sovraindustrializzazione, c'è posto
per il mondo dell'efficacia post-industriale, dove il modo di produzione
industriale è complementare ad altre forme autonome di produzione. C'è
posto, in altre parole, per un mondo di maturità tecnologica. Per quanto
riguarda il traffico, è il mondo di coloro che hanno triplicato le dimensioni
del loro orizzonte quotidiano salendo su una bicicletta. E anche il mondo
caratterizzato da una varietà di motori ausiliari disponibili per i casi in cui
la bicicletta non basta più e una spinta suppletiva non limita né l'equità
né la libertà. Ed è, ancora,
il
mondo dei lunghi viaggi: un mondo dove ogni luogo è accessibile a ogni persona,
secondo il suo talento e la sua velocità, senza fretta e senza paura, per mezzo
di veicoli che coprono le distanze senza far violenza alla terra che l'uomo ha
calcato per centinaia di migliaia d'anni.
La
sottoattrezzatura tiene la gente in uno stato di frustrazione per
l'inefficienza del suo lavoro e incoraggia l'asservimento dell'uomo all'uomo.
La sovraindustrializzazione asservisce le persone agli strumenti divenuti
oggetto di culto, ingrassa di bit e di watt i gerarchi delle professioni e porta
a tradurre l'ineguaglianza di potere in enormi divari di reddito. Impone ai
rapporti di produzione di ogni società i medesimi trasferimenti netti di
potere, qualunque sia la fede professata dai dirigenti e qualunque danza della
pioggia o rito penitenziale essi guidino. La maturità tecnologica permette a
una società di seguire una rotta libera da ambedue le forme di asservimento;
attenzione però, quella rotta non è segnata sulle carte. La maturità
tecnologica permette una varietà di scelte politiche e di culture. Tale varietà
diminuisce, ovviamente, quando una comunità lascia che l'industria si sviluppi
a scapito della produzione autonoma. Il raziocinio da solo non offre una precisa
unità di misura per stabilire il livello di efficacia post-industriale e di
maturità tecnologica confacente a questa o a quella società; può solo
suggerire in termini dimensionali l'arco entro il quale queste caratteristiche
tecnologiche devono essere comprese. Bisogna lasciare alla comunità storica
impegnata nei propri processi politici il compito di decidere quando la
programmazione, l'alterazione dello spazio, la penuria di tempo e
l'ineguaglianza non hanno più alcun senso. Il ragionamento può cogliere nella
velocità il fattore critico del traffico; combinato con la sperimentazione, può
identificare l'ordine di grandezza entro il quale la velocità veicolare diventa
un determinante sociopolitico. Ma non esiste genio, né esperto, né club
elitario che possa fissare alla produzione industriale un limite che risulti
politicamente attuabile. La necessità di questo limite come alternativa al
disastro è il più forte argomento a favore della tecnologia radicale.
Il
limite di velocità dei veicoli può diventare operativo solo quando rispecchia
l'interesse illuminato della comunità politica. Ma ovviamente tale interesse
non può neanche esprimersi in una società dove un 'unica classe monopolizza
non soltanto il trasporto, ma le comunicazioni, la medicina, l'istruzione, le
armi. Che questo potere lo detengano dei privati proprietari oppure i potenti
managers di un industria che giuridicamente appartiene ai lavoratori, non fa
differenza. Questo potere deve essere ricuperato e sottoposto all'equilibrato
giudizio dell'uomo comune. La riconquista del potere inizia quando ci si rende
conto che il supponente burocrate, proprio per la sua cultura da esperto, non è
in grado di vedere il modo più ovvio per superare la crisi energetica, come non
è stato capace di vedere la soluzione più ovvia della guerra nel Vietnam.
Dal
punto in cui ci troviamo, due sono le strade per arrivare alla maturità
tecnologica: una passa per la liberazione dall'opulenza, l'altra per la
liberazione dalla carenza. Entrambe hanno la stessa meta, cioè una ristrutturazione
sociale dello spazio che faccia continuamente sentire a ognuno che il centro
del mondo è proprio lì dove egli sta, cammina e vive.
La
liberazione dall'opulenza comincia nelle isole pedonali dove ora i ricchi
s'incontrano tra loro. Nelle società opulente coloro che fruiscono di alte
velocità sono sballottati da un'isola all'altra senz'altra compagnia fuorché
quella di altri passeggeri diretti da qualche altra parte. Questa solitudine
dell'abbondanza potrebbe cominciare a rompersi se a poco a poco le isole
pedonali si. espandessero e la gente riprendesse a usare l'innata facoltà di
muoversi intorno al luogo in cui vive. L'ambiente impoverito dell'isola pedonale
potrebbe così incarnare l'inizio della ricostruzione sociale, e le persone
che oggi si dicono ricche potrebbero sottrarsi alla servitù del trasporto
superpotente il giorno in cui arrivassero ad amare l'orizzonte delle loro
isole pedonali, ormai giunte al pieno sviluppo, e ad aver paura di
allontanarsi troppo spesso dalla propria dimora.
La
liberazione dalla carenza inizia dal punto opposto. Spezza le costruzioni del
villaggio e della vallata e fa cessare la noia derivante dalla ristrettezza
d'orizzonti e dalla soffocante oppressività di un mondo chiuso in se stesso.
Estendere il raggio d'azione della vita quotidiana al di là della cerchia delle
tradizioni senza disperdersi tra i venti dell'accelerazione, è un obiettivo che
qualunque paese povero potrebbe raggiungere nel giro di pochi anni, ma al quale
perverranno soltanto quelli che sapranno rifiutare l'offerta di uno sviluppo
industriale incontrollato, suffragata dall'ideologia del consumo energetico
illimitato.
La
liberazione dal monopolio radicale dell'industria del trasporto è possibile
solo istituendo un processo politico che demistifichi e detronizzi la velocità
e che limiti la spesa pubblica di denaro, tempo e spazio per il traffico al solo
perseguimento di un eguale accesso reciproco. Tale processo equivale alla
sorveglianza pubblica su un mezzo di produzione, volta a impedire che esso
divenga un feticcio per la maggioranza e un fine per i pochi. Il processo
politico, d'altro canto, non avrà mai il sostegno d'una vasta maggioranza se
non fisserà i propri obiettivi prendendo a riferimento un criterio che sia
verificabile pubblicamente e operativamente. Si ottiene un criterio del genere
quando si riconosce una soglia socialmente critica della quantità di energia
incorporata in una merce. Una società che tolleri la trasgressione di questa
soglia storna inevitabilmente le proprie risorse dalla produzione di mezzi che
possano essere condivisi equamente e le trasforma in combustibile per una fiamma
sacrificale che immola la maggioranza. Una società che invece limiti la velocità
massima dei propri veicoli in conformità con tale soglia adempie una condizione
necessaria - benché non certo sufficiente - per il perseguimento politico
dell'equità.
La
liberazione, a buon mercato per i poveri, costerà caro ai ricchi, ma essi ne
pagheranno il prezzo allorché l'accelerazione dei loro sistemi di trasporto avrà
definitivamente bloccato il traffico. Un'analisi concreta del traffico svela
la realtà che soggiace alla crisi energetica: l'impatto sull'ambiente sociale
dei quanta di energia confezionati dall'industria tende a provocare
degradazione, logorio e asservimento, e questi effetti entrano in gioco prima ancora
di quelli che minacciano di inquinare l'ambiente fisico e di estinguere la
specie. Il punto cruciale nel quale si possono invertire questi effetti non è,
però, oggetto di deduzione ma di decisione.