SCHEDA 4
 L’acqua nel mondo: siccità, diritti e guerre
 
di marzo  2003

 

L’acqua è l’elemento base per la vita sul pianeta, ciò dovrebbe essere sufficiente a considerarla un diritto fondamentale dell’essere umano. Eppure già nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo non si fa alcun accenno al diritto all’acqua. Si parla di uguaglianza e libertà, e solo alla fine di diritto al benessere e alla salute. Eppure quando la dichiarazione è stata approvata (1948), erano già tante le popolazioni che soffrivano la penuria idrica, ma già all’epoca non riuscivano a farsi ascoltare.

Da allora le cose sono addirittura peggiorate. L’acqua è diventata una risorsa ancora più scarsa. I numeri e le statistiche sono uno strumento arido per rappresentare una realtà drammatica come quella della crisi idrica globale, ma ci danno una prima idea.

Si calcola che 1,4 miliardi di persone nel mondo non abbiano accesso all'acqua potabile e che questo numero salirà a più di 3 miliardi nel 2020. Metà dell'umanità non dispone di sistemi fognari adeguati.

Disponibilità di acqua

I volumi di acqua disponibili ogni anno sono così ripartiti:

Continente Km cubi di acqua Popolazione (in milioni)
Asia 14.000 3.458
Sud America 13.000 482
Nord America 9.000 293
Africa 4.000 728
Europa 3.500 727
Oceania 2.500 29

Appare evidente come un cittadino Nordamericano abbia a disposizione dieci volte più acqua di un Asiatico. Ma oltre alla dislocazione geografica, la disponibilità dell’acqua per uso domestico è data anche dalla sua qualità.

L'approvvigionamento idrico risulta insufficiente nelle aree in cui sono concentrati i due terzi della popolazione mondiale. La crisi idrica è, quindi, una crisi mondiale. Molti dei Paesi situati nelle regioni aride o semi-aride vivono già oggi una crisi la cui entità e gravità variano da un anno all'altro.

Impieghi dell’acqua

A livello mondiale il 69% del prelievo di acqua è assorbito dall'agricoltura, il 23% dalle attività industriali e l'8% dagli usi domestici. Ma si tratta di medie. L’impiego di acqua tra queste tre variabili è molto diverso da territorio a territorio.

In Europa, ad esempio, l'industria assorbe il 54% dell'acqua, mentre l’agricoltura ne utilizza il 33%. In Asia, invece, l'agricoltura assorbe l'86% e l'industria appena l'8%. In Oceania prevalgono gli usi domestici con il 64%, contro il 34% dell'agricoltura ed il 2% dell'industria.

Le cause della crisi

La crisi idrica ha cause differenti e complesse. Ogni realtà ha la sua storia e i fattori che si combinano sono numerosi. In questi anni si sono evidenziati alcuni fattori globali.

Penuria

In teoria l’acqua presente sul pianeta sarebbe sufficiente a soddisfare le esigenze umane, ma è evidente che la sua distribuzione non è equilibrata tra le varie regioni.

Anche in uno stesso luogo la penuria non colpisce tutti allo stesso modo, ma si accanisce sulle classi sociali più povere, quindi la penuria ha anche radici sociali, e non solo naturali.

Sprechi e cattivi impieghi

Il prelievo di acqua aumenta velocemente. Si è moltiplicato per sei dal 1900 al 1995 (oltre il doppio del tasso di crescita della popolazione) mentre la capacità naturale di rinnovare la risorsa non tiene il passo.

Spesso l’acqua viene sprecata ed impiegata mala. Anche in paesi che soffrono la sete si destinano grandi quantitativi di acqua a settori produttivi ad alto consumo idrico come l’agricoltura intensiva. Dell’acqua usata in agricoltura, circa il 40% si perde. Mentre nelle reti di distribuzione dell’acqua trattata se ne perde il 50%.

Inquinamento

La riduzione dell’acqua potabile disponibile si deve, in gran parte, all’inquinamento. Questo è provocato dall’uso di prodotti chimici in l’agricoltura, dall’assenza di trattamento degli scarichi domestici e industriali, dallo sfruttamento intensivo delle falde freatiche, dal degrado del suolo per disboscamento e desertificazione, dagli sconvolgimenti geologici sempre meno naturali. Si stima che negli ultimi 50 anni l'inquinamento abbia ridotto di un terzo la disponibilità di acqua.

Incremento demografico

Gli organismo internazionali indicano la crescita demografica come una delle cause della crisi idrica. In parte ciò è vero, ma bisognerebbe tenere conto anche degli squilibri nei consumi. Un neonato negli USA o in Germania consuma in media 70 volte più acqua di un neonato indiano. Cento milioni di americani consumano più acqua di 7 miliardi di indiani.

Salute

La salute umana è strettamente legata alla possibilità di accedere ad acqua di buona qualità. L’inadeguato accesso all’acqua è all’origine del 70% delle malattie umane nei paesi sviluppati e dell’85% nei paesi poveri.

Le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità parlano di 5 milioni di morti all’anno per malattie veicolate dall’acqua, gran parte di questi sono bambini. La Banca Mondiale, nel suo rapporto del 1992, afferma che l’accesso all’acqua e un adeguato equipaggiamento igienico permetterebbero di evitare 2 milioni di decessi all’anno dovuti alla dissenteria di bambini e neonati.

Nei paesi industrializzati da decenni sono ormai sotto controllo le epidemie collegate all’inquinamento idrico. Mentre la situazione si aggrava nelle aree in via di industrializzazione, soprattutto nelle baraccopoli che non hanno adeguati sistemi di distribuzione e depurazione delle acque.

La malaria, strettamente legata all’acqua, è la malattia parassitaria che causa il più alto numero di morti nel mondo e condiziona la vita di centinaia di milioni di persone in vaste aree del pianeta. L’OMS stima circa 100 milioni di nuovi casi ogni anno con almeno un milione di morti tra i bambini.

Conferenze e trattati internazionali

Sui problemi globali dell’acqua comincia a diffondersi una certa consapevolezza negli anni Settanta. Nel 1977 le Nazioni Unite organizzano a Mar del Plata (Argentina) la prima conferenza mondiale sull’acqua. Questa conferenza ha messo in evidenza la crisi dell’acqua e ha indotto l’ONU a promuovere il decennio dell’acqua tra il 1981 e il 1990 con l’obiettivo di permettere a tutti gli esseri umani di disporre di acqua potabile entro il 2000. Il risultato è stato tutt’altro che raggiunto e la crisi è peggiorata.

Dalla conferenza di Mar del Plata ad oggi sono state organizzate innumerevoli appuntamenti internazionali: solo tra il 1997 e il 2000 se ne contano 16. Nonostante i fallimenti, la politica internazionale sull’acqua non ha subito grandi cambiamenti.

Il valore di mercato

Conferenze e trattati internazionali hanno sempre più affermato che per soddisfare il crescente bisogno di acqua e razionalizzarne l’utilizzo bisogna riconoscerne il valore monetario e considerarla un bene economico.

Il concetto di acqua come bene economico è stato introdotto alla Conferenza Internazionale sull’Acqua e l’Ambiente di Dublino del 1992 come quarto principio della dichiarazione finale.

Bisogni o diritto?

Al Secondo Forum Mondiale dell’Acqua, svoltosi all’Aja nel marzo 2000, si è ribadito che l’acqua, essendo sempre più scarsa e cara, deve essere considerata un bene economico con un suo valore di mercato calcolato in base al costo di produzione e alla necessità di remunerare il capitale investito. In più il Forum sancisce un drammatico salto culturale, definendo l’acqua come un bisogno anziché come un diritto.

Non è una questione secondaria e puramente linguistica, una semplice parola può cambiare tutta la prospettiva: un diritto deve essere garantito dagli organismi pubblici, un bisogno, invece, può essere soddisfatto dal mercato, che non deve porsi il problema di soddisfare tutti, ma può limitarsi a chi può pagare il prezzo fissato.

Gats

L’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) è stata istituita con un trattato internazionale firmato nel 1994 e comprende ormai gran parte delle nazioni, vincolate al rispetto dei trattati di cui si compone. Tra questi trattati c’è l’Accordo Generale sul Commercio dei Servizi (GATS) che detta i principi della privatizzazione mondiale dei servizi pubblici.

Il GATS stabilisce che nella privatizzazione è illegittimo limitare la partecipazione di imprese straniere. Con questa norma già molti servizi in paesi del sud del mondo, compresa l’acqua, stanno finendo in mano a multinazionali occidentali.

Privatizzazione

Liberalizzazione e privatizzazione sono portate avanti anche con veri e propri ricatti. Nel 2000 il Fondo monetario internazionale ha condizionato la concessione dei suoi prestiti a 12 paesi (quasi tutti africani, poveri e indebitati) alla privatizzazione delle loro risorse idriche. Altrove, come in Ghana, è stata la Banca mondiale a proporre un prestito condizionato dalla privatizzazione dell'acqua, scatenando una protesta civile.

Nei Paesi più poveri la liberalizzazione del servizio idrico sta già facendo sentire i suoi effetti. Ad esempio, in America Latina, si sta privatizzando in vari paesi l'erogazione dell'acqua con ricadute immediate sui prezzi.

A Buenos Aires il servizio è stato ceduto alla società Aguas Argentinas, una filiale della multinazionale francese Lyonnaise des Eaux. Il risultato è che il 58% dei circa 3 milioni e mezzo di abitanti di Buenos Aires è escluso dalla rete idrica, gli altri pagano un prezzo più alto.

A Cochabamba, in Bolivia, la privatizzazione dell’acqua ha prodotto una rivolta. Su "consiglio" della Banca Mondiale il servizio è stato affidato a Las Aguas del Tunari, un consorzio di multinazionali che comprende anche Montedison. I nuovi gestori hanno subito alzato le tariffe: in un Paese dove la maggior parte della popolazione guadagna meno di 3 dollari al giorno, un aumento dell'acqua di 20 dollari al mese era un insulto. Per giunta era stata introdotta una tassa sulla costruzione dei piccoli pozzi che non consentiva vie di approvvigionamento alternative. Nell'aprile del 2000 è scoppiata la rivolta che è costata 6 morti e 175 feriti. Per tutta risposta il presidente Banzer ha decretato la legge marziale. All’inizio il governo affermava di non potere rescindere il contratto con la Aguas del Tunari, ma alla fine ha ceduto.

L’opposizione di cittadini e società civile alla privatizzazione dell’acqua si sta diffondendo in tutto il mondo, sia nei paesi ricchi che in quelli poveri.

Multinazionali

Ad approfittare di questa corsa alla privatizzazione sono soprattutto grandi multinazionali. Le pèrimcipali sono francesi, tedesche ed inglesi, ma anche in Italia si stanno ormai formando grandi gruppi: aziende municipalizzate come l’ACEA di Roma, l’AMM di Milano e l’AMT di Torino si sono lanciate sul mercato nei vari servizi, sia in patria che all’estero.

Attualmente, le grandi compagnie private riforniscono 300 milioni di persone. Esse prevedono di dare acqua nel 2015 a 1.650 milioni di persone. A più lungo termine, si ipotizza che quattro cinque grandi reti di imprese private multi-territoriali e multi-servizi potranno gestire, sulla base di appalti e subappalti, l’insieme dei servizi idrici nel mondo.

Guerre dell’acqua

Da tempo immemorabile l'acqua, essendo una risorsa di primaria importanza, è oggetto della conflittualità umana, tanto più in situazioni di scarsità. Molto spesso il diritto internazionale appare inadeguato a risolvere le dispute tra stati.

I paesi che si trovano a monte nel percorso di un fiume hanno un importante strumento di pressione sui paesi che si trovano a valle, facendo dell’acqua una risorsa strategica, come il petrolio. Negli ultimi anni la situazione sta precipitando.

In situazione di conflitto l'acqua può rappresentare sia un obiettivo che un'arma.

L'acqua come arma

Sono numerosi i casi nella storia in cui gli eserciti hanno utilizzato l’acqua come arma, inquinandola con fango o escrementi al fine di "prendere il nemico per sete".

Negli ultimi decenni, i trattati internazionali che cercano di disciplinare le guerre, hanno incluso norme a salvaguardia delle risorse idriche, ma queste norme sono state spesso violate o aggirate.

L'acqua come obiettivo

Quasi il 40% della popolazione mondiale dipende da sistemi fluviali comuni a due o più paesi. Si contano attualmente circa 50 "guerre", più o meno latenti, per cause legate alla proprietà, alla spartizione o all’uso dell’acqua. In alcuni casi l'acqua è solo un pretesto, in altri è una questione centrale. India e Bangladesh disputano sul Gange, Messico e Stati Uniti sul Colorado, cinque ex repubbliche sovietiche nell’Asia centrale, si contendono l’Amu Darja e il Sir Darja. Ma i conflitti più "caldi" sono nel Vicino e Medio Oriente e in Africa, dove le disponibilità di acqua sono più scarse, in particolare nei bacini del Tigri-Eufrate, del Nilo e del Giordano. La stessa guerre arabo-israeliana è in buona parte una guerra per l’acqua.

Dighe

Le dighe servono a proteggere un territorio, a governare un corso d’acqua, controllarne il flusso e a produrre energia. La civiltà umana ne fa uso da tempo immemorabile.

Attualmente ci sono nel mondo 45.000 grandi dighe di cui 35.000 costruite dopo il 1950. Negli ultimi 15 anni il ritmo di costruzione è accelerato sensibilmente.

Quando si propone la costruzione di una nuova si usa sopravvalutare i vantaggi, mentre si sottostimano i costi e le conseguenze negative. Il primo effetto è l’evacuazione delle popolazioni che vivono nel futuro bacino e nelle zone limitrofe. Il totale delle persone costrette a spostarsi per la costruzione di dighe è stimato tra i 30 e i 60 milioni, di cui 10 solo in Cina. Gli indennizzi naturalmente sono ridicoli.

Un'altra vittima è l’ecosistema: riduzione delle biodiversità (estinzione di pesci migratori e di piante acquatiche), riduzione dell’apporto di acqua a valle, interruzione dell’apporto di sedimenti spesso indispensabili alle attività agricole, elevazione delle falde acquifere.

La rottura di grandi dighe, avvenute già in diversi casi, sono vere e proprie catastrofi. I bacini creati sono spesso inquinati e le acque stagnanti portano malattie come la malaria. I costi di manutenzione e depurazione sono molto elevati. In più l’acqua accumulata e l’energia prodotta sono inferiori alle stime.

In alcuni casi la costruzione di una diga che modifica il corso di un fiume può innescare conflitti tra stati vicini.

La prima grande diga è stata quella egiziana di Assuan, che risale agli anni Sessanta e ha creato il lago Nasser. Tra i progetti più controversi ci sono le dighe della Turchia e quelle cinesi sullo Yangtze.

Il Contratto Mondiale sull'Acqua

A difesa del diritto all'acqua la società civile globale ha dato vita ad un Comitato Internazionale che vorrebbe promuovere in tutto il mondo il diritto d'accesso all'acqua potabile per tutti, partendo dalla considerazione che l'acqua appartiene all'ecosistema e a tutte le specie viventi. Il Comitato si articola in sottocomitati nazionali che stanno sorgendo un po' in tutto il mondo e che operano per sensibilizzare l'opinione pubblica.

Nel 1998 il Comitato Internazionale ha redatto un "Manifesto dell'Acqua" dove vengono esplicitati i principi imprescindibili di un auspicabile "Contratto Mondiale sull'Acqua".

Soluzioni ambigue

Le soluzioni adottate per risolvere i problemi legati all’acqua non sempre hanno dato i risultati sperati. Le varie proposte tecniche e politiche andrebbero sempre valutate in tutti i loro aspetti e nelle loro ricadute a lungo termine.

Progetti di sviluppo

Un errore frequente nei progetti di comparazione internazionale è quello di pensare di potere applicare in paesi completamenti diversi le tecnologie create per i paesi occidentali. In molti casi strutture costosissime e moderne rischiano di restare inutilizzate alla prima rottura perché nessuno, in loco, è capace di ripararle. Sarebbe opportuno investire in progetti di piccola scala e di facile gestione, utilizzando le tecnologie più appropriate al contesto in cui si opera.

L’acqua virtuale

Data la scarsità di acqua per l’agricoltura in alcuni paesi, gli organismi internazionali propongono che i prodotti agricoli a più alto consumo di acqua siano importati dall’estero. Si stima che importare una tonnellata di frumento equivale a risparmiare 1000 tonnellate di acqua.

Tuttavia questa soluzione metterebbe in breve tempo i paesi poveri in uno stato di dipendenza assoluta dai paesi ricchi.

Dissalazione

Dal 1950 in avanti si sono fatti notevoli progressi nella capacità di dissalazione per ottenere acqua potabile dal mare. In alcuni casi i processi di distillazione usano fonte energetiche alternative, su piccola scala possono funzionare dissalatori ad energia solare. Ma il più delle volte questi processi richiedono un grosso consumo di energia e hanno un costo elevato.