Atti della

Tavola rotonda

ACQUA BENE COMUNE DELL’UMANITA’

GESTIONE E PRIVATIZZAZIONE

 
 

 Cesare Carnaroli (Sindaco di Fano)

In una tavola rotonda come questa ritengo sia opportuno ricostruire un po’ la storia dell’acqua nel nostro territorio negli ultimi 20 anni.

Nel 1983 si scopre che a Fano i nitrati nell’acqua di falda superano i 50mg/l. Dal 1983 al 91 si è andati avanti con le ordinanze che vietavano di bere l’acqua. Poi, con i fondi FIO della C.E. nel 1985 e nel 1989 si costruiscono gli impianti di potabilizzazione di San Francesco di Saltara e di Torno, loc. Bellocchi di Fano (ricarica della falda) che prelevano acqua di superficie dal fiume Metauro. Oggi 220/230.000 ab. vengono riforniti dal Metauro con 600 litri di acqua al secondo (l/s) dei quali 150/200 vengono dirottati su Fano,  accumulati in due serbatoi o utilizzati per miscelare l’acqua dei pozzi. I serbatoi ci danno un’autonomia di 24 ore.

Dal 1991 l’acqua che beve Fano è sotto i 50 mg/l di nitrati (mediamente 11 mg/l). Il fiume ha una portata di 1000 l/s ma a volte dopo lunghi periodi di siccità la portata scende sotto la quantità prelevata. Ad esempio, pochi anni fa abbiamo avuto un grosso problema di siccità. Quindi la captazione dal Metauro non può essere una soluzione definitiva, anche perché continuare a questi ritmi potrebbe provocare danni irreversibili al fiume. Bisogna tentare di recuperare l’acqua di falda. Pensate che i due soli pozzi al campo d’aviazione, danno circa 150 l/s pari a circa la metà del fabbisogno idrico di Fano. Questo significa rimettere in discussione il sistema di produzione agricolo.

L’acqua, l’energia, e lo smaltimento dei rifiuti saranno le vere sfide per le amministrazioni locali nei prossimi anni, le vere priorità del futuro prossimo. La crisi ambientale è sempre più evidente ed accorcia i tempi a nostra disposizione.

 Renzo Rovinelli (Presidente ASET SpA)

Il tema dell’acqua da un po’ di tempo è salito alla ribalta. Sono sempre più evidenti i problemi legati a questa risorsa, nel sud come nel nord del mondo.

A Fano potremmo “festeggiare” 20 anni di nitrati. Ma occorre far sapere che nonostante questo “vendiamo” un prodotto che, al prezzo di 1 lira al litro, ha le caratteristiche di un acqua che in bottiglia costa 600 volte tanto e produce tonnellate di rifiuti di plastica.

Bisogna fare pubblicità alla nostra acqua per vincere la diffidenza dei cittadini, è un vero e proprio dovere sociale, morale e politico. Il mercato è in mano ad imprese speculative che possono permettersi investimenti miliardari in pubblicità.

Il sindaco raccontava gli investimenti che si sono fatti per la depurazione. Ora occorre fare nuovi investimenti per ridurre le perdite della rete che ammontano al 30% circa.

La gestione del solo acquedotto è in pareggio. Se invece si considera l’intero ciclo dell’acqua (potabilizzazione-depurazione) il bilancio è in perdita secca. Sappiamo già che in futuro l’acqua costerà circa il 20% in più, e questi aumenti andranno a coprire gli investimenti e quindi è giusto consentire alle aziende di modulare le tariffe a questo scopo.

Nella nostra provincia ci sono ancora situazioni di gestione molto frammentata e poco funzionale. L’Ato deve insistere perché i gestori si mettano insieme. Attualmente ci sono ancora sette gestori, più diversi piccoli comuni che mantengono la gestione in economia.

Poi bisogna utilizzare al meglio le risorse della falda e differenziare gli usi (non si può lavare la macchina, tirare lo sciacquone o annaffiare l’orto con l’acqua medio-minerale). Però per fare gli investimenti Stato e Regione devono avviare una politica di incentivi e defiscalizzazioni a favore dei gestori delle reti idriche.

Sul processo di privatizzazione è già stato tracciato un percorso. Abbiamo già diviso la gestione delle reti, affidata ad ASET Holding, che resta di totale proprietà dei comuni, dalla gestione del servizio, affidata ad ASET SpA, che deve restare a maggioranza pubblica. Ma è opportuno cominciare a cercare un partner, ma di tipo industriale e non finanziario.

Purtroppo in questo scenario Pesaro si è mossa ancor prima che la legge lo imponesse, ha venduto azioni e ora non sarà facile rimettere assieme i pezzo a livello provinciale.

 Emilio Molinari (Vice Presidente Comitato Italino per il Contratto Mondiale sull’Acqua)

Vorrei iniziare con una nota di orgoglio: se in questi ultimi tempi si parla molto di acqua in gran parte è merito del lavoro che da tre anni sta portando avanti il Comitato Italino per il Contratto Mondiale sull’Acqua. Eppure dobbiamo dire che siamo arrivati tardi perché molte decisioni sono state già prese e la privatizzazione è andata molto aventi. Su questo gli amministratori dovrebbero farsi un esame di coscienza e chiedersi se hanno coinvolto ed informato i cittadini su decisioni così importanti.

 Privatizzazione globale

Le decisioni sulla privatizzazione prese in un singolo comune sono strettamente collegate ad un processo globale di portata epocale che sta trasformando l’acqua in merce. Una merce alla stregua del petrolio, tanto che sono già in embrione le “sette sorelle” dell’acqua, le multinazionali che avranno il controllo di questa risorsa sul pianeta. Tutto questo avviene proprio mentre constatiamo che l’acqua è una risorsa limitata. E su questo dobbiamo sfatare un mito radicato anche tra persone colte. E’ vero che il ciclo dell’acqua è da sempre lo stesso e l’acqua sul pianeta non diminuisce in termini quantitativi, ma in primo luogo occorre vedere dove questa acqua cade e si concentra, ed in secondo luogo bisogna valutarne le condizioni e la qualità. Questi due fattori dipendono strettamente dall’inquinamento e dai cambiamenti climatici che fanno sì che non piove più allo stesso modo, nello stesso posto e nel momento giusto.

Su questo parlano chiaro gli stessi dati elaborati dagli organismi ufficiali che hanno organizzatoli il summit di Kyoto. Negli ultimi 40 anni abbiamo reso inutilizzabile più del 50% dell’acqua dolce disponibile sulla terra. Si calcola che entro il 2025 ne perderemo un altro terzo.

I segnali di allarme sono già numerosi ed evidenti. In Cina le falde stanno diminuendo di 1,50 m all’anno ed è già crisi idrica. I cinesi stanno costruendo 34 dighe sul Mekong che toglieranno l’acqua al Vietnam, oltre a causare enormi problemi sociali e ambientali. L’India è allo stesso livello ed i consumi non si reintegrano con le piogge. In medio oriente un israeliano dispone di 270 l. di acqua al giorno, un palestinese di 60, ma solo quanto Istraele glie li lascia arrivare. Anche i paesi occidentali soffrono di grosse emergenze idriche: si pensi al Colorado (Texas-Messico) che per diversi mesi all’anno non arriva più al mare (altri esempi riguardano i laghi Aral e Baikal in Russia).

Lo stesso problema lo stiamo vivendo in Italia. Le falde pugliesi, della Versilia e di altri comuni rivieraschi sono inutilizzabili per le infiltrazioni di sale dovute all’abbassamento delle falde. A Milano ci sono solo due falde (nel centro) che straripano allagando anche i garages, ma ciò dipende dal fatto che essendo due falde inquinate (cromo esavalente, e altri prodotti chimici) dagli anni ’80 nessuno le utilizza. Così Milano pesca in 3° falda, a 200 m. di profondità, per trovare acqua buona. Anche il Trentino ha problemi idrici a causa dei pesticidi impiegati nella frutticoltura.

Le politiche locali

La politica urbanistica e di sviluppo non può non tenere conto dell’esaurimento delle risorse idriche e della loro tutela. L’acqua deve essere messa al centro della programmazione delle amministrazioni. L’agricoltura tradizionale è stata soppiantata dalla moderna agricoltura che abbisogna di molta acqua (mais, soia sono colture idrovore), molti pesticidi e molti fertilizzanti. Per produrre un hamburger ci vogliono 1000 l. di acqua. Occorre ripensare questo settore a partire dall’acqua, ad esempio concedendo finanziamenti e incentivi solo per il miglioramento della qualità dell’ambiente e dei prodotti. Allo stesso modo bisognerebbe ripensare i Piani Regolatori. Nel 2025 il 70% della popolazione mondiale vivrà in città con più di 1 milione di abitanti, e soffrirà di grossi problemi sanitari legati all’acqua. Anche le infrastrutture vanno considerate per i danni che fanno alle risorse idriche: si pensi alle gallerie che modificano le correnti sotterranee, le asfaltature che impermeabilizzano il suolo, le regimazioni che cementificano fiumi e torrenti e deviano il normale deflusso dell’acqua. In sostanza occorre modificare gli stili di vita. 

Le politiche globali

Dobbiamo dirci chiaramente che nel mondo ci sono delle oligarchiche che influenzano gli organismi politici condizionandone gli atti, con ricadute che arrivano fino ai piccoli comuni. In questo senso il nemico principale è il WTO che con le sue regole cambia le leggi degli stati. Il WTO ricatta i paesi poveri attraverso i finanziamenti e gli aiuti, obbligandoli ad accettare liberalizzazioni e privatizzazioni che vanno a danno delle popolazioni più povere. Nel 1994 il WTO ha messo nella sua agenda il  GATS, un accordo che prevede la privatizzazione dei servizi, tra cui l’acqua, la salute e la scuola. L’Europa ha aderito a questi accordi ma al momento non li ha resi obbligatori per i paesi membri. Ma allo stesso tempo chiede di accelerare le privatizzazioni nel sud del mondo.

L’America da parte sua è stata molto chiara: a Johannesburg, Powell ha espresso alcuni concetti molto chiari:

-         lo stile di vita degli americani non si discute,

-         gli accordi di Goha del WTO non si discutono

-         la priorità è il terrorismo e il controllo delle risorse strategiche (petrolio e acqua).

 Contrastare la privatizazione

Per tornare all’Italia bisogna dire che la legge Galli era una buona legge. C’era l’esigenza di riorganizzare il sistema. Il problema è che attraverso questa legge si è data una forte spinta alla privatizzazione della gestione. Questo ha fatto cadere molti amministratori nell’errore, conviti di essere obbligati a privatizzare il servizio idrico, anche se l’obbligo non esisteva.

Quando si introduce il criterio della privatizzazione il rischio è enorme.  Il tutto rientra nel disegno di trasformare ogni risorsa naturale in merce. A questa logica hanno risposto sia amministrazioni di destra che di sinistra.

C’è stato un processo graduale. Prima la legge Galli, poi alcune leggi regionali che hanno rinforzato la spinta alla privatizzazione ed infine l’art. 35 della legge finanziaria 2002 che ha fatto dell’Italia l’unico paese al mondo che obbliga gli enti locali a privatizzare i servizi. In pratica vieta ad un sindaco di gestire l’acqua.

La crisi della politica ha creato un complesso di inferiorità negli amministratori pubblici che hanno iniziato a sentirsi inadeguati. Ma anziché superare questa crisi con il coinvolgimento dei cittadini e processi di partecipazione si è scelto di affidare tutto ai provati. La politica ha abdicato al suo ruolo. Ma il privato agisce solo con il fine del profitto e non nell’interesse pubblico. 

Le amministrazioni comunali dovrebbero fare molta attenzione. Adesso ci dicono che privatizzano solo la gestione, ma tengono la proprietà delle reti. Ma ormai sappiamo che in queste cose si procede per gradi, e quale sarà il prossimo passo? Invece i comuni dovrebbero continuare a battersi per tenere strettamente in mano pubblica i servizi idrici. Nelle SpA dovrebbero cercare di far entrare i cittadini e non le multinazionali.

In questo processo di privatizzazione dell’acqua è già avvenuto un altro passaggio culturale molto grave. Oggi il bere è già provato. L’80% dei cittadini, anche se dispongono di acqua potabile degli acquedotti pubblici, preferiscono bere acqua imbottigliata e venduta dalle multinazionali. 

Le acqua minerali

Le principali sono Danone e Nestlè che stanno ottenendo dalle Regioni concessioni al costo di un centesimo di lira al litro. Questo ci dà l’idea della speculazione che c’è dietro. Dovremmo chiedere alle regioni di rivedere il sistema delle concessioni.

In Italia si consumano dieci miliardi di l. di acque minerali con la produzione di 1 milione di tonnellate di plastica da smaltire. Le acque pubbliche sono più controllate, le acque minerali hanno soglie di tolleranza per i prodotti chimici molto più alte (ad esempio 4 volte l’arsenico, 2 volte i nitrati).

Una novità recente è una direttiva europea che consente di imbottigliare l’acqua del rubinetto. La chiamano acqua naturalizzata, la Parmalat l’ha chiamata “Acqua da bere”. E’ come quella dei nostri rubinetti ma costa 500 volte di più. In pratica si vuole imporre l’idea che tutti dobbiamo bere solo dalle bottiglie.

Ormai anche nelle bidonvilles del sud del mondo l’acqua viene portata in damigiane di plastica. Qui il diritto a bere incide per il 30% delle risorse di una famiglia. Così 30.000 persone muoiono ogni giorno per malattie legate all’acqua non potabile: è un crimine contro l’umanità.

 Dante Marchi (Presidente Ambito Territoriale Ottimale)

L’ATO di Pesaro coincide con il territorio provinciale,

è un’associazione di 67 comuni che devono gestire assieme l‘acqua, come prevede la Legge Galli.

Appena diventato presidente, nel 2002, mi sono subito trovato ad affrontare un’emergenza idrica. Ogni anno viviamo tutti gli amministratori vivono con l’incubo della siccità.

La legge stabilisce che l’ATO deve garantire 200-250 litri al giorno per ogni cittadino. Per fare questo servono investimenti per circa 1.200.000 /1.800.000 lire per abitante e questi soldi devono venire dalla tariffa.

Sui problemi strutturali l’ATO ha già iniziato ad operare assieme alle autorità di bacino. Ora dovremo fare un piano di utilizzo dell’acqua, in cui definiamo quanta acqua deve essere destinata ad ogni settore di consumo.

Nel frattempo si avvicina la scadenza per mettere a gara la gestione del servizio idrico integrato, e per questo le aziende pubbliche si devono organizzare per vincere.

 Michele Altomeni (Rappresentante della Campagna Accadueò)

La campagna Accadueò opera da alcuni mesi sul territorio per sensibilizzare cittadini e amministratori sulla tematica dell’acqua nei suoi vari aspetti. Per maggiori informazioni si veda il depliant e il sito www.altraofficina.it/accadueò

Ringraziamo l’Amministrazione comunale per avere organizzato con noi questo incontro, che nasce proprio dalla necessità che gli amministratori locali tornino ad occuparsi con più attenzione della gestione dell’acqua. I processi di progressiva privatizzazione hanno avuto come effetto proprio quello di allontanare il controllo di questa risorsa dagli organismi democratici.

Questa tavola rotonda è propedeutica ad un’altra iniziativa che faremo con l’amministrazione: un consiglio comunale monografico dedicato all’acqua, che si svolgerà l’8 maggio. In quella occasione noi vorremmo sottoporre alla discussione un documento con alcuni principi per noi importanti. Provo ad enunciarne alcuni.

 

Acqua bene comune

L’acqua è un bene comune, e come tale va gestito pubblicamente. Questo significa che dobbiamo il più possibile contrastare la logica della privatizzazione che potrebbe consegnare la nostra acqua ad una qualche multinazionale straniera che la amministra solo per il proprio profitto. E’ vero che l’Art. 35 fissa degli obblighi e delle scadenze. Ma è altrettanto vero che quell’articolo della finanziaria 2002 prevedeva dei regolamenti attuativi che non sono mai stati emanati, e nel nostro ordinamento una legge non ha vigore finchè non ci sono i regolamenti previsti. Quindi le amministrazioni che in questi mesi sono corse a creare delle SpA per la gestione dell’acqua sono state più realiste del re. Tra l’altro siamo anche in attesa della sentenza della Corte Costituzionale sul ricorso sull’art. 35 presentato da cinque regioni.

Sollecitiamo anche la Regione Marche, perché emani una legge che vada nel senso di una gestione pubblica dell’acqua.

Se l’acqua è un bene comune, la seconda necessità è che i cittadini possano partecipare ed esprimersi sulla sua gestione. In questi anni sono stati attuati processi molto importanti e anche preoccupanti in un clima di poca trasparenza. Se usciamo da qui nessuno sa cosa sia un Ato e a cosa serva. Eppure questo ente gestirà l’acqua in tutta la provincia. Allora un primo processo di trasparenza e partecipazione va fatto rispetto all’attività dell’ATO. Ma è necessario studiare e realizzare strumenti di partecipazione anche nella gestione della nostra azienda ASET, che appartiene alla collettività, attraverso comitati di cittadini o altre forme. Esempi ne esistono in Italia e all’estero.

 Pianificazione

Un secondo principio riguarda l’urgenza di pianificare alcuni aspetti per il futuro.

Lo hanno già detto altri. Non si può continuare a sfruttare il Maturo come oggi, occorre risanare la falda per attingere da questa. E questo va pianificato. Un piccolo esempio di azioni possibili è l’introduzione di un limite di salvaguardia di 500 metri dai pozzi per l’agricoltura.

Ma risanare la falda non è la panacea di tutti i mali. Ammesso che tra 20 anni quell’acqua sarà di nuovo potabile non potremo sfruttarla agli attuali livelli di consumo, perché sappiamo che le falde si abbassano e si esauriscono. In una città di costa come Fano il problema arriva ancora prima perché l’abbassamento della falda provoca l’ingresso dell’acqua di mare e la salinizzazione. Allora è necessario lavorare fin da ora, pianificando, sui consumi idrici di questa città. E’ necessario fare informazione e prevedere incentivi sia per i cittadini che per le imprese che riducono gli sprechi. Per questo occorre usare anche lo strumento della tariffa che preveda un quantitativo di acqua necessario agli usi quotidiani gratis per tutti, e poi una tariffa che cresce a scaglioni in base ai consumi.

Ma ridurre gli sprechi ci porta al secondo elemento della pianificazione. Noi abbiamo una rete che perde il 30% dell’acqua. Questa rete va risanata e le perdite ridotte. Non si può fare in tempo breve, ma occorre pianificare questa azione.

 

Contrasto all’invasione delle acque minerali.

Abbiamo già detto che le acque minerali sono un grande problema ed un assurdità in una città che ha l’acqua potabile come Fano. Su questo dobbiamo lavorare, fare sensibilizzazione.

 

Solidarietà

Un ultimo principio è la solidarietà. Abbiamo parlato della crisi idrica mondiale. Ebbene, è necessario che anche noi ci facciamo carico di questi problemi. Su questo proponiamo due possibili interventi.

Un primo intervento è destinare un centesimo di euro per ogni mc di acqua consumata dai nostri cittadini a progetti di cooperazione idrica con una comunità del sud del mondo.

Un secondo intervento è l’attivazione di forme di partenariato pubblico-pubblico, ossia processi in cui le nostre aziende si facciano carico di cooperare con  comunità del sud per trasferire conoscenze e tecnologie. Non nella logica di “conquistare” mercati, ma nella pura e semplice logica di solidarietà e cooperazione. Anche su questo esistono numerose esperienze.

 Marco Amagliani (Assessore regionale all’ambiente)

L’acqua dovrebbe essere gestita totalmente dal pubblico. Questo prevedeva anche la legge regionale. Ma l’art. 35 della finanziaria ha modificato questa legge. Ora bisogna fare la gara pubblica per la gestione del ciclo integrato dell’acqua, non è più possibile l’affidamento diretto.

L’obbligatorietà della cessione del 40% della parte pubblica della SpA al momento non c’è, anche se ci sono diverse interpretazioni.

Dobbiamo fare una nuova L.R. che contenga i  seguenti principi:

-         L’acqua è un bene primario, finito e a valenza pubblica

-         Modulazione della tariffa secondo principi unitari in tutta la regione

-         Diffusione di una cultura diversa sull’uso dell’acqua.

L’ingresso di privati nelle SpA pubbliche può aspettare altri due anni e nel frattempo  mi impegno a far approvare una nuova L.R.

 Replica del sindaco

C’è la possibilità di mantenere anche la gestione del servizio in mano pubblica. Pesaro è andato per la sua strada compromettendo la formazione di un organismo gestore pubblico provinciale. Allora Fano non resterà a guardare. Ho in mente di vedermi con i sindaci di Ancona, Senigallia ecc. entro 20 giorni al massimo per adottare una strategia comune che ci porti ad una alleanza per poter essere vincenti nella gestione del ciclo integrato.